In questo primo contributo, verranno illustrate le modalità di calcolo e di interpretazione della performance del private equity. L’importanza di partire da questo argomento è legata al fatto che, come per ogni investimento, le aspettative e le caratteristiche di performance (e di rischio – tema che potrà essere oggetto di un futuro approfondimento) qualificano l’asset class e sono spesso il motivo predominante del suo appeal.
In epoca di tassi negativi (Negative interest rate policy – Nirp), poter accedere a investimenti cui la narrativa corrente che accompagna il private equity attribuisce potenzialità di rendimento a doppia cifra è sicuramente un’opportunità che desta forte interesse. L’offerta di prodotti di capitale privato anche nei confronti della clientela privata si sta espandendo e la legislazione si sta adeguando alle dinamiche di mercato. I primi prodotti collocati nel mercato con l’introduzione della normativa sulle Sgr speculative, così come definite ai tempi, hanno cominciato a riportare i loro rendimenti finali.

In particolare per i prodotti complessi e sofisticati, accompagnati da uno storytelling di vendita con target ambiziosi su orizzonti temporali di lungo periodo anche ultradecennali e vincoli di illiquidità, è importante che i risultati ex-post confermino le aspettative coltivate ex-ante (anche alla luce delle strutture commissionali importanti che le contraddistinguono – e che potranno essere anche esse oggetto di un futuro approfondimento).

La specificità del private equity

Differentemente dagli investimenti in fondi di investimento tradizionali, nel private equity (e nello specifico nei fondi che seguono tipicamente un meccanismo di investimento a chiamata) il capitale viene inizialmente soltanto: (1) impegnato (commitment), successivamente (2) progressivamente richiamato come contribuzioni (contributions, capital call o drawdown) dal gestore secondo le tempistiche del regolamento del fondo (in contesto anglosassone il Limited partneship agreement o Lpa), che sono tipicamente i primi cinque anni di vita del prodotto, quindi (3) con i profitti attesi e il capitale distribuiti (distribution) con il processo di liquidazione dei fondi entro le scadenze contrattualmente previste (tipicamente i successivi 5 anni più estensioni annuali possibilmente concesse ai gestori).

Per la natura specifica del private equity, seguendo le consuetudini di mercato dei gestori, i suoi rendimenti sono espressi in termini di Tasso interno di rendimento (Tir, o con la notazione anglosassone Irr, Internal rate of return) e di multipli sul capitale. I multipli principali sul capitale principali sono il Tvpi (Total value versus Paid in capital), ovvero il capitale totale formato dalle distribuzioni cumulate ricevute e dal residuo Net asset value sulle contribuzioni cumulate, il Dpi (Distributed versus Paid in capital), ovvero distribuzioni cumulate su contribuzioni cumulate e il Pic (Paid in versus committed capital) ovvero distribuzioni cumulate su commitment originario.

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